Collezioni

Ultima modifica 15 giugno 2023

Attualmente le collezioni sono in fase di allestimento e sono visitabili previa prenotazione; al più presto saranno incluse nel percorso standard di visita del museo.
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Le collezioni comprendono un cospicuo numero di esemplari che in parte furono lasciati in eredità al museo dal Regio Istituto Tecnico (l’attuale Istituto “Romagnosi”) e in parte sono il frutto del lavoro di raccolta e classificazione di studiosi e appassionati quali il professore Giacomo Trabucco per quanto riguarda le rocce, i minerali, i fossili, gli animali e le piante; il medico e ornitologo Edoardo Imparati per quanto concerne l’ampliamento della raccolta degli uccelli; gli studiosi di flora del piacentino Parmigiani e Pavesi, infine, per gli erbari.

Nel corso degli ultimi anni il Museo si è arricchito di tre importanti collezioni: la Collezione malacologica Raimondo Del Prete, la collezione mineralogica Giovanni Dosi, la Collezione di Suiseki. 

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Botanica

Gli erbari e la "Flora Italia superioris" del 1820

Nella sezione di Botanica del Museo spicca per importanza storica la “Flora Italia Superioris”. La raccolta, datata attorno all’anno 1820, consiste in una collezione di 1.253 “essiccata” in ottimo stato di conservazione, raggruppati in 14 cartelle. L’erbario si configura più come un repertorio didattico che non un erbario inteso in senso stretto.
Le numerose specie raccolte forniscono però utili indicazioni sulla storia recente della flora locale. Particolarmente curata la rappresentatività delle diverse categorie sistematiche relativamente alle Fanerofite: 1218 specie raggruppate in 553 generi e 101 famiglie, rispecchianti abbastanza fedelmente la situazione floristica dell’Italia Settentrionale.
Di concezione più moderna l’erbario “A. Poli: consta di 1.153 esemplari di Fanerofite quasi tutte spontanee. A differenza del precedente, l’erbario è più simile ad un repertorio floristico inteso in senso moderno dove buona parte delle specie sono rappresentate con diversi esemplari raccolti in numerose stazioni (i luoghi di raccolta sono distribuiti in diverse aree dell’Italia, della Francia e del Tirolo e sono rappresentativi dell’areale mediterraneo).
A questo vanno aggiunti gli erbari “Parmigiani” e “Pavesi” e quello dell’Istituto di Botanica della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica di Piacenza. Sia il Parmigiani che il Pavesi sono stati importanti studiosi della flora del Piacentino. Tra le loro pubblicazioni più importanti vanno ricordate “Flora alluvionale della Trebbia e della Nure” (1919) ed “Elenco di piante dell’Alto Appennino Pavese" (1906) del Pavesi e due “Aggiunte alla Flora Piacentina del Prof. Bracciforti (1946 e 1958)” del Parmigiani.

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Rocce e minerali

Le raccolte petrografiche e mineralogiche
 

La prima citazione bibliografica delle collezioni dell’Istituto “Romagnosi” ci viene dal prof. Michele Del Lupo che nel novembre del 1883 assunse presso lo stesso istituto (allora denominato Regio Istituto Tecnico) la cattedra di scienze e la direzione del Gabinetto di Storia Naturale. La collezione riuniva rocce, minerali, fossili, animali e piante che però si trovavano in stato di abbandono.

Due anni dopo il materiale era già riordinato e l’insegnate diede alle stampe un primo inventario relativo alla geologia; riproponendosi di riordinare in seguito anche le collezioni faunistiche e floristiche. Nel 1889, la cattedra passò a Giacomo Trabucco il quale osservò che il Gabinetto di Storia Naturale, “considerato tra i migliori delle scuole secondarie”, mancava di parecchie collezioni locali e specialmente di quella delle rocce della provincia. Cominciò così a effettuare delle escursioni nelle valli del Piacentino raccogliendo i tipi caratteristici della petrografia locale. Riunì inoltre un gran numero di fossili dei terreni pliocenici della Val d’Arda e della Val Chiavenna. Questa collezione locale, descritta dallo stesso Trabucco in due pubblicazioni del 1890, oggi è conservata in museo e comprende 380 rocce differenti provenienti dai terreni alloctoni e autoctoni dell’Appennino e della pianura, fino al Po.

ZOOLOGIA

Zoologia

L'avifauna Edoardo Imparati e la collezione ornitologica

Edoardo Imparati, medico e ornitologo, nell’anno scolastico 1895-96 fu chiamato all’assistenza della cattedra che era stata del Trabucco, come conservatore del Gabinetto di Storia naturale. Lo studioso si preoccupò prevalentemente di ampliare la raccolta relativa agli uccelli. Nel 1898 pubblicava un catalogo delle specie osservate in provincia. Gli esemplari  descritti facevano parte della collezione ornitologica del Regio Istituto Tecnico che complessivamente contava 233 specie catalogate. L’anno seguente dava alle stampe una seconda nota aggiornata in occasione dell’acquisto da parte del Museo di Storia Naturale di oltre cento esemplari d’uccelli, tutti catturati nella provincia di Piacenza, che vennero ad accrescere la collezione ornitologica del Regio Istituto Tecnico.
Ma gli interessi dell’Imparati non furono soltanto rivolti all’avifauna: è infatti del 1897 uno studio relativo ai coleotteri del Piacentino.Nel 1901 Imparati fu nominato insegnante presso la Scuola Normale di Ravenna ma rimase legato alla sua città natale dove quasi quarant’anni dopo (negli anni 1938-1939-1940) pubblicò una serie di studi sui pesci, gli anfibi ed i rettili del Piacentino, sempre facendo riferimento anche a materiale conservato nelle collezioni del Museo di Storia Naturale.

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La Collezione malacologica di Raimondo Del Prete (1850-1937)

La Collezione conserva materiale conchigliologico relativo a molluschi di tutto il mondo. In numerosi casi si tratta di materiale relativo a gruppi poco conosciuti la cui sistematica appare attualmente alquanto oscura e bisognosa di adeguati studi di revisione. In alcuni casi si tratta di materiale tipico. Grazie alla qualità e alla varietà delle specie conservate la Collezione, il cui riordino è tutt’ora in corso, potrà in futuro confermarsi quale punto di riferimento per malacologi specialisti, ancor più se corredata da un adeguato e aggiornato catalogo.Nel suo testamento, Raimondo Del Prete fece espressamente lascito della sua “Collezione Conchigliologica” e del suo fondo librario all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Custodita fino al 2008 presso l'Istituto di Entomologia e Patologia Vegetale della Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, nello stesso anno è stata concessa in deposito al Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza che si è impegnato a custodirla osservando tutte le condizioni necessarie per la conservazione e operando la necessaria manutenzione. Grazie all'impegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Piacenza, Settore Musei, a partire dal 2009 è stato attivato un finanziamento finalizzato a un progetto tuttora in corso di riordino, catalogazione e studio preliminare dell'intera Collezione.

Il “Lascito Del Prete” si compone di un fondo librario e di una collezione malacologica.
Il fondo librario è stato recentemente ordinato e catalogato ed è costituito da 628 tra volumi, fascicoli ed estratti risalenti in larga parte all'Ottocento anche se non mancano testi del Seicento e del Settecento: esso è conservato presso la Biblioteca dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza  dove può essere consultato in loco.
La “Collezione Malacologica Del Prete” consiste in una raccolta di conchiglie conservata in 10 armadi per un totale di 170 cassetti contenenti migliaia di esemplari e entità sistematiche di molluschi terrestri, dulciacquicoli e marini di tutto il mondo.
E' attualmente in corso un progetto pluriennale di ripulitura, riordino, catalogazione e interpretazione preliminare delle conchiglie e delle corrispondenti etichette e schede di catalogo. Ad oggi, l'espletamento di tale progetto ha coinvolto i primi tre armadi della Collezione e i primi due cassetti del quarto consentendo l'identificazione e la catalogazione di circa 700 specie tra bivalvi e gasteropodi.
Le schede di catalogo autografe di Del Prete relative a specie attribuite allo stesso genere sono riunite in piccoli fascicoli che riportano sempre il nome della Collezione, il numero di catalogo di tale genere, il nome del genere e del corrispondente autore e la data di entrata in collezione dei primi esemplari di quel genere (ECDPest). Ciascuna scheda di catalogo riporta (ECDPint) un binomio specifico seguito dal nome del corrispondente autore, la data di entrata in collezione dei primi esemplari di quella specie e l'elenco delle località da cui provengono i corrispondenti esemplari. Gli esemplari di una data località e afferenti a una entità sistematica sono quasi sempre contenuti in scatole di cartone di dimensioni varie e prive di coperchio oppure in provette di vetro. Di norma, ogni scatola o provetta contiene una o due etichette autografe di Del Prete (EODP) ed eventualmente una o più etichette autografe di un altro malacologo (EA) cui Del Prete aveva fatto visionare gli esemplari al fine di una corretta determinazione.

Biografia - Raimondo Antonio Del Prete nasce a Viareggio il 14 febbraio 1850. A Pisa, dove inizia a studiare nel 1865, si laurea in medicina nel 1873. Nello stesso anno della laurea, a Empoli, sposa Giorgina del Vivo dalla quale avrà sette figli. Mise fin da subito a frutto la sua laurea a Viareggio, dove anche il padre aveva esercitato la professione di medico per quasi cinquant'anni.
Di come sia nata la sua passione per la malacologia non è dato da sapere: fatto è che nel 1874 Del Prete si iscrisse alla “Società Malacologica Italiana”, fondata nello stesso anno a Pisa, e all'inizio del 1875 compare sul primo numero del “Bullettino della Società Malacologica Italiana” un semplice elenco di specie da lui stesso raccolte nei comuni di Viareggio, Massarosa e Camaiore. Nel febbario del 1889 avviene una svolta nella sua vita professionale: la 'Venerabile Arciconfraternita della Misericordia' di Viareggio lo nomina Preposto (ossia Presidente). Di famiglia molto religiosa, Del Prete si dedicherà con passione a tale associazione caritatevole, non solo tramite prestazioni professionali gratuite a favore dei poveri, ma anche garantendo una consistenza patrimoniale di tranquillità simboleggiata dalla realizzazione di una nuova sede e di un 'asilo notturno' progettati negli anni successivi alla morte della moglie (1921) e inaugurati il 26 settembre 1929 dal Re in persona. Anche se non fu mai autore di veri e propri articoli scientifici, fu molto attivo nelle ricerche sul territorio e negli scambi con personalità di spicco nel panorama scientifico internazionale dell'epoca tra cui Tommaso Allery Marchese di Monterosato, Marchesa Marianna Panciatichi Ximenes d'Aragona Paulucci, Jules René Bourguignat, Philippe Dautzenberg, Carlo Alzona, Serafino Cerulli-Irelli, Giorgio Coen, Ottavio Priolo, Francesco Settepassi, ecc....
Del Prete morì a Viareggio il 27 aprile 1937.

La Collezione mineralogica Giovanni Dosi

Giovanni Dosi (Piacenza, 16 gennaio 1912 – 7 settembre 2006) entrato giovanissimo nella storica società di costruzioni RDB vi trascorse tutta la vita lavorativa fino a 60 anni, terminando come responsabile dell’ufficio acquisti. Persona eclettica e collezionista per “vocazione“, si indirizzò prima alla Filatelia ed alla Numismatica per passare poi alla Mineralogia, a cui dedicò più di trent’anni di appassionata ricerca. Gli ultimi anni della sua vita lo videro impegnato soprattutto nella progettazione e costruzione di complicati giocattoli in legno e nel modellismo navale e ferroviario. L’ampia e articolata collezione di pietre e minerali consta di circa 1.600 esemplari, di cui alcuni molto rari ed è frutto di acquisti, scambi e doni ma anche di una attenta personale ricerca nelle Dolomiti durante i periodi di vacanza. La meticolosa catalogazione di ogni minerale ed i supporti per i pezzi esposti, costruiti ad uno ad uno manualmente dallo stesso Giovanni Dosi, testimoniano la grande passione ed impegno con cui questa collezione è stata creata. E’ è in questo spirito che la famiglia, nelle persone dei figli Agostino ed Alberto, ha voluto che questa collezione fosse custodita nel luogo più appropriato accessibile ai giovani ed a tutti gli appassionati di Scienze Naturali donandola al Comune di Piacenza per il Museo civico di storia naturale..

La collezione consta di 1103 esemplari di minerali provenienti da tutto il mondo. I minerali provengono da 56 diverse nazioni. L'Italia è quella più rappresentata con circa 300 esemplari provenienti da quasi tutte le regioni. Il grande pregio della collezione si esplica però nel numero e nella grande varietà di specie minerali, combinata alla bellezza estetica di gran parte dei reperti esposti. Si possono, infatti, ammirare 365 specie diverse di minerali appartenenti a tutte le classi mineralogiche, oltre alle 146 diverse varietà caratteristiche di alcune delle specie minerali presenti nella collezione.
All'interno di questo grande assortimento, spiccano una serie di minerali rari o caratteristici di determinate aree geografiche come, solo per citarne alcuni, diopside varietà violano (Val d’Aosta), vaterite (Piemonte), valentinite (Slovacchia), eschinite-Y (Norvegia), diasporo varietà manganodiasporo (Sud Africa), aragonite varietà tarnovitzite (Namibia), brasilianite (Brasile).
La collezione comprende ed è arricchita anche da una serie di elementi e minerali utilizzati come metalli o pietre preziose: sono campioni di oro nativo, argento nativo, corindone varietà rubino, topazio, berillo varietà smeraldo.
Di particolare interesse sono poi 32 campioni di minerali (25 diverse specie) caratterizzati da radioattività naturale quali, ad esempio, curite (minerale dedicato ai coniugi Curie), uraninite, torianite, cuprosklodovskite, autunite. A questi si aggiungono 13 campioni che presentano il fenomeno della fluorescenza se illuminati con luce di determinata frequenza e lunghezza d’onda.

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La Collezione di Suiseki

La collezione di suiseki conservata al Museo di Storia Naturale di Piacenza si deve alla sapiente opera di ricerca, preparazione ed esposizione del conservatore Licio Tezza.
Si tratta di piccole pietre modellate dall’azione idrometeorica e selezionate per la loro forma, l’equilibrio, la semplicità e la tranquillità che suscitano negli osservatori. Queste rocce evocano paesaggi e strutture geologiche secondo uno dei principi fondamentali della geologia strutturale, secondo il quale ciò che si osserva a scala millimetrica o centimetrica è riconducibile a ciò che si può osservare alla scala di un affioramento, lungo una trincea stradale o sul fianco di una montagna, o addirittura a scala regionale, nel profilo di una catena montuosa.
Negli ultimi anni anche in Italia ha preso piede l’arte di cercare, tra le nostre splendide montagne, affioramenti in grado di regalare queste piccole grandi pietre e di prendersene cura affinché siano ammirate da amici o semplici compagni di passione.

Origine e storia dei Suiseki
Il termine Suiseki si riferisce a pietre, formatesi in modo naturale, ammirate per la loro bellezza e per la capacità di evocare scene naturali piuttosto che oggetti strettamente associati alla natura. Il termine giapponese suiseki significa letteralmente “pietre d’acqua” da sui = acqua e seki = pietra.
Tra i tipi più popolari di suiseki vi sono quelli che sembrano suggerire una lontana montagna, una cascata, una capanna, o un animale. Si crede che l’arte dei suiseki abbia avuto origine in Cina circa duemila anni fa quando queste piccole pietre di grande bellezza andavano a rappresentare isole o montagne leggendarie associate a credenze buddiste o taoiste.
I suiseki sono generalmente esposti su basamento in legno intagliato a seguire la forma della pietra, o in vassoi poco profondi. Quando l’esposizione ha un carattere più formale, i suiseki sono spesso accompagnati da bonsai, alberelli che sono fatti crescere con tecniche particolari in modo da far loro assumere forme affascinanti.
Per migliaia d’anni i giapponesi hanno considerato le pietre con un sentimento prossimo alla venerazione. Non deve dunque sorprendere che l’imperatrice reggente Suiko abbia apprezzato grandemente le pietre “paesaggio in miniatura” portate per la prima volta in Giappone durante il suo regno (592-698 d.C.).